foto di Pasquale Palmieri e disegni di Antonio Esposito
a cura di Paolo Dell'Elce
Visioni in alta lentezza lungo il percorso del treno della VALLE CAUDINA tra Benevento e Napoli
Il viaggio in treno dispone la mente alla contemplazione, e quella dimensione psichica spesso mortificata che è l’immaginazione trova, a volte, il suo compimento.
Immaginare vuol dire costruire immagini, simulacri, trame visive, narrazioni che si sviluppano e si estinguono nella nostra mente senza soluzione di continuità, ma nel caso di un artista questo processo può oggettivare, attraverso un atto creativo, qualcosa che prima non c’era: l’opera.
Antonio Esposito e Pasquale Palmieri si sono trovati per anni sullo stesso treno. Le loro individualità distinte ad un certo punto si sono incontrate e confrontate nelle loro opere realizzate secondo tecniche e finalità espressive diverse, ma che palesano la loro origine comune in una risposta puramente visiva al medesimo contesto.
La reazione dello sguardo dei due autori allo stesso ambiente frequentato e vissuto per anni (l’interno di un vagone con il suo paesaggio umano e i suoi sbocchi all’esterno sul territorio), ha avuto esiti formali diversi ma contenuti complementari.
Pasquale per mediare le sue visioni ha utilizzato una macchina fotografica, Antonio inchiostro e matita. Pasquale ha interpretato l’interno del treno come una camera oscura e ha fissato ciò che la luce portava dentro attraverso il finestrino. Antonio comodamente seduto sulla poltrona si è rivolto direttamente al compagno occasionale che aveva di fronte fissandolo in una sintesi segnica aspra e veloce, connotando tratti somatici e psicologici, operando una scelta consapevole, quasi una tassonomia dei soggetti, che alla fine del viaggio si riconoscono e identificano nella loro umanità contemplata e partecipata.
Lo sguardo di Pasquale coglie più estaticamente il divenire, la natura mistica della luce, il movimento rapido, le trasformazioni atmosferiche liquide; la fenomenologia del tempo del viaggio che si ricompone a posteriori, una volta arrivati a destinazione, in una sequenza di pensieri-immagini che si formano e riconfigurano alla velocità degli impulsi nervosi endogeni.
Anche il pennino di Antonio, come un sismografo, risente del dinamismo del treno, il treno è come un braccio meccanico che guida la sua mano, e con i suoi sussulti determina la sprezzatura e la bellezza del tratto grafico: l’imponderabile viene “addomesticato” nel linguaggio, un valore aggiunto, fondamentale e irrinunciabile.
Atteggiamenti diversi, dicevamo, e differenti punti di vista e sensibilità che ampliano i significati e le corrispondenze di un viaggiare che cerca altre motivazioni che non siano semplicemente legati all’immediata contingenza.
C’è un’altra necessità più profonda che prende corpo nell’esperienza artistica del fare: la necessità di vivere al di sopra delle opacità del quotidiano, riappropriarsi del tempo della vita attraverso la partecipazione, la riflessione etica ed estetica, la mediazione dei linguaggi, la necessità di dire, di elaborare sensazioni e idee e trasmetterle agli altri.
Il processo che va dall’intuizione alla realizzazione dell’opera si completa, si chiude il cerchio, finisce il viaggio.
Giunti al capolinea foto e grafie ora possono dialogare tra loro nel luogo umano della condivisione, e creare nuovi presupposti per altri viaggi, altri incontri, altre possibilità.
Paolo Dell’Elce